Il fascino sottile del blu e dell'oro

Dalle maioliche del cardinale farnese alla porcellana imperiale dello Infozar alessandro



Lo scopo di questa mostra, piccola nella quantità ma importante per gli studi, è quella di ripercorrere attraverso l’analisi di alcune ceramiche, che si snodano dal Cinquecento all’Ottocento, lo sviluppo della tecnica, nel tentativo di adornare con oro vero le superfici.

Si prende in esame una particolare categoria dove è stato utilizzato un’unica cromia che sfuma dal blu all’azzurro, illeggiadrita da tocchi dorati. Si tratta di comprendere se si tratti di oro puro o di una mistura di vari elementi.

Nel piatto cinquecentesco con Stemma Farnese, databile fra il 1574 e il 1589, si osservano riflessi dorati; si tratta del “lustro ad oro” , ottenuto da un impasto a base di terre silicee, zolfo, ossidi d’argento e di rame, immesso nella superficie in una terza cottura riducente (senza ossigeno) a bassissimo fuoco. I metalli precipitando donano una scintillante patina, più dorata o più rossastra a seconda della miscela metallica, ma sempre brillante: il “lustro” appunto.

La targa ovale con allegoria del matrimonio avvenuto nel 1548 fra Vittoria Farnese, nipote del papa Paolo III Farnese e Guidobaldo II della Rovere, duca di Urbino mostra nella leggiadria dello sfumato azzurro-blu tocchi di un interessantissimo color oro.

Una analisi condotta dalla sottoscritta nel 1985 presso il “Centro Ricerche Radiografiche di Rosato Fattori” a Rimini ha dimostrato che un oggetto con oro puro, fotografato ai raggi IR, ne sembra del tutto privo, perché il minerale riflette totalmente il raggio e la lastra appare bianca. Diversamente in un oggetto con varia mistura appare un giallo oscuro opaco. Nella targa il colore nei punti con oro scompare, dimostrando che si tratta di oro vero e non mistura varia.

Come si spiega che due ceramiche circa dello stesso periodo e di grande potere elitario mostrino risultati così diversi? Viene in aiuto la lettura di una Bando emesso nel 1569 proprio dal duca Guidobaldo in favore di Giacomo Lanfranco, pittore maiolicaro di Pesaro per una sua straordinaria invenzione; così si legge:”… havendo noi veduto che Jacomo Lanfranco della nostra Città di Pesaro, habi egli ritrovato il modo dopo molte esperienze di mettere l’oro vero nelli vasi di terracotta, et ornarli di lavoro ad oro, e quelli dopo cotti rimanere illesi…”, per questa invenzione concesse esenzione da tasse ed altri privilegi.

A tutt’oggi per il Rinascimento conosciamo solo questa straordinaria targa di Giacomo Lanfranco con oro vero.

La scoperta di Giacomo morì con lui e fu solo nel Settecento con nuove tecnologie e nuovi forni, che la porcellana, da poco ottenuta anche in Europa, riuscì ad essere illeggiadrita con oro vero.

E’ quanto si ammira nei piatti del servizio di Alessandro I Romanov, zar della Russia, realizzato nella Manifattura Imperiale di San Pietroburgo, attiva dal 1744 e nel servizio della Regia manifattura di porcellane di Berlino, dove l’oro ed l’azzurro fanno da splendida cornice alla policromia rococò che si addentra nell’Ottocento.

Ancora una volta l’oro e l’azzurro compaiono in oggetti d’élite di grande fascino e suggestione, veramente sinonimi di eccellenza.

 

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